giovedì 11 aprile 2013

La grande umiltà di monsignor Dalponte


Intervista a Ida Dalponte
Sorella di Monsignor Lorenzo Dalponte

"Era una persona così umile che ho capito la sua grandezza solo dopo la sua morte"

Che rapporto aveva don Lorenzo con i suoi genitori?
Don Lorenzo ebbe sempre un buon rapporto con i suoi genitori e in particolare con la madre a cui confidava tutto. Il padre gli voleva bene ma era una persona di poche parole. Ricordo che il papà non voleva che andasse in seminario perché avrebbe dovuto proseguire i lavori in campagna come agricoltore.
A questo proposito posso raccontare un aneddoto: alla morte del fratello Federico, che aveva solo 12 anni, la famiglia, come era usanza a quel tempo, non partecipò al funerale. Solo don Renzo che in quel periodo frequentava già il seminario andò al funerale. Tornato dal funerale chiese al padre di andare con lui sul cimitero vicino alla chiesa soprastante il paese di Vigo Lomaso. Andarono così a piedi assieme al cimitero. Quando arrivarono sulla tomba il padre gli disse di promettere davanti al fratello di stare a casa. Don Renzo mi raccontò che il Signore gli mise in bocca queste parole “E' per la campagna papà?”. Il papà rispose affermativamente e allora Lorenzo disse “Papà, mi manca un esame per diventare maestro e a livello finanziario ti aiuto di più facendo questo lavoro rispetto che a usare la zappa”. Il padre allora tacque e poi gli disse: “Vai per la tua strada che io non ho il coraggio di dirti di no”. In qualsiasi altra cosa don Renzo avrebbe obbedito al padre ma nella vocazione non aveva il coraggio di dire di no al Signore.


Ricorda qualcosa del periodo trascorso da mons. Dalponte in gioventù presso il Seminario a Trento?
Don Renzo passò alla storia per la nostalgia che patì in seminario. Il dottore dopo averlo visitato disse che bisognava mandarlo a casa per le condizioni fisiche in cui era e così prepararono le valige.
In seminario oltre a un fratello di mio marito che andò a salutarlo c'era anche un altro giovane di Vigo Lomaso che era più energico. Incontrando Lorenzo sul punto di partire gli chiese per quale motivo se ne andasse. Alla risposta di don Renzo il giovane gli disse “di dare una sberla alla nostalgia e di andare a dormire”. Così Lorenzo riuscì a superare quel momento di difficoltà e restò in seminario.
Dopo questa esperienza vissuta in gioventù, quando diventò direttore del Collegio arcivescovile il primo giorno che arrivavano i ragazzi non si preoccupava di quelli che giocavano ma di quei due-tre che erano seduti da soli sulle scale isolati dagli altri. Ancora oggi molti studenti ricordano che il primo giorno di scuola quando soffrivano di nostalgia li accoglieva dicendogli che se avevano nostalgia erano suoi fratelli poiché anche lui l'aveva subita in gioventù. E gli esortava dicendo “tu non sai neanche cos'è la nostalgia perché ora il sabato tornate a casa.. una volta, quando io ero giovane, si tornava a casa il primo ottobre e a Natale”.

Cosa si ricorda del periodo trascorso da mons. Dalponte dapprima a Cunevo e poi a Zurigo e a Friburgo?
Durante l'estate i seminaristi passavano obbligatoriamente circa un mese a Cunevo in ritiro presso una specie di castello di proprietà del seminario chiamato “La Santa”. Fu qui che il parroco di Cunevo e i dirigenti del Seminario conobbero Lorenzo e dopo l'ordinazione sacerdotale lo ritennero la persona più adatta per avviare i lavori del nuovo oratorio. Mons. Dalponte restò a Cunevo 2-3 mesi perché si sapeva già che non sarebbe andato in cura d'anime ma era destinato a studiare.
Del periodo trascorso a Zurigo non so quasi niente. Ricordo soltanto che fu trasferito a Friburgo a causa dei tanti impegni con la comunità degli emigrati italiani che avevano causato un peggioramento della sua salute. Ritornava a Vigo Lomaso talvolta per donare il sangue alla madre che era anemica.
Dopo aver conseguito la laurea in germanistica a Friburgo ricordo che tornato a Vigo Lomaso la mamma lo interrogò sul terrazzo riguardo il periodo trascorso in Svizzera compatendo le difficoltà che aveva dovuto superare. Alle domande della madre don Renzo rispose: “un giorno non stavo bene e mi misi in testa che non sarei più riuscito a proseguire e allora sai cosa feci? Mi misi a piangere..” e lì in quel momento venne da piangere a tutta la famiglia escluso il padre.

Conosce qualche aneddoto relativo ai suoi numerosi contatti con gli studenti durante la dirigenza del collegio arcivescovile?
Una volta si ammalò e fu portato all'ospedale di Tione. Il medico che era stato un suo alunno gli rinfacciò scherzosamente che durante la sua permanenza all'arcivescovile “eravate molto severi”. Don Renzo rispose: “Si, ma tu non sai il perché; voi sostenevate gli esami con una commissione statale e per chi veniva dalle scuole private erano molto più lunghi e difficili; per questo dovevamo essere molto severi”. A questa risposta il medico concordò con mons. Dalponte.
Ricordo inoltre un aneddoto relativo all'alluvione di Trento del novembre 1966. Avevo letto sul giornale la testimonianza di una donna che diceva: “oggi è venuto da me un pretino giovane con una squadra di ragazzi muniti di badile e mi ha chiesto se avevo lavoro per loro”. Solo dopo scoprii che si trattava proprio di don Lorenzo con i suoi ragazzi dell'arcivescovile. Trattava gli studenti come dei figli.

Cosa faceva don Renzo quando tornava talvolta a Vigo Lomaso nel fine settimana?
Diceva sempre messa quando tornava a Vigo Lomaso. La mattina andava in Val Lomasona in passeggiata e poi tornava per celebrare la messa. Faceva prediche davvero interessanti con battute e continui riferimenti all'attualità. Citava spesso le sue ricerche storiche legate alla nostra valle come ad esempio quella della collana della Madonna di Dasindo.
Quando arrivava con la sua macchina dicevo ai miei figli “è arrivato lo zio!”. Mio figlio Fabio, che era il più tremendo, usciva dalla porta dicendo tra sé: “Adesso vorrà vedere anche i compiti!”. Spesso infatti aiutava i nipoti nello svolgere i compiti.


Che legame aveva don Renzo con gli Schützen?
Il vescovo lo mandò a fare l'assistente spirituale degli Schützen perché conosceva molto bene la lingua tedesca. Si legò molto profondamente agli Schützen e spesso lo chiamarono in occasione di celebrazioni o manifestazioni. Ricordo che mio padre non voleva sentire parlare degli Schützen perché aveva combattuto la II guerra mondiale con i tedeschi. Don Renzo mi diceva spesso che non bisognava confondere i tedeschi della Germania con quelli dell'Austria. Le atrocità furono perpetrate dalle S.S. e non dagli Schützen.
Il suo legame con gli Schützen riguardava principalmente il lato storico e la difesa dei valori che stavano alla base di questo movimento e non tanto uno schierarsi politicamente. Ricordo in particolare un aneddoto sul pensiero politico di monsignor Dalponte. Quando compì gli 80 anni, già ammalato, era a Tressilla di Pinè dalla sua infermeria Livia Avi da cui era stato invitato per 15 giorni. Un giornalista della regione andò a intervistarlo e gli disse. “Lei come mai viene sempre in provincia a chiedere sussidi per i suoi studenti o per i libri? Tanti suoi colleghi chiedevano di modificare leggi o criticavano l'operato della provincia.. Don Renzo Rispose “A me la politica non piace”. “Perché?” - chiese il giornalista - “Perché abbiamo un governo che non mi piace; abbiamo fatto ridere il mondo: l'Italia ha stabilito la festa nazionale il giorno 24 maggio quando entrò in guerra durante la I Guerra mondiale. Anche gli altri stati del mondo hanno indetto un giorno di festa nazionale ma alla fine della guerra e non all'inizio”.

Cosa le resta di Monsignor Dalponte?
Senza dubbio la sua profonda umiltà che emerge da tutte le cose in cui fu impegnato. Mi rincresce dirlo, ma credo di aver capito la sua grandezza solo dopo la sua morte. Mi ha colpito il viavai di persone, ex studenti e amici che visitarono la camera mortuaria e anche le persone che c'erano qui a Vigo Lomaso in occasione del ricordo dai dieci anni della sua morte.