mercoledì 6 febbraio 2013

Andreas Hofer e "Gli amatissimi tirolesi italiani"

Annuario del collegio arcivescovile di Trento 1984-1985, n. 51, pp. 33-40

Sono le prime parole del commosso appello di Andreas Hofer alle popolazioni trentine, in data 4 settembre 1809, nel momento più cruciale dell'insurrezione tirolese contro gli occupanti franco-bavaresi. Non fu un saluto convenzionale. Pronunciato e scritto da Andreas Hofer, la cui onestà e rettitudine restarono proverbiali, il saluto fu sicuramente espressione d'un sentimento sincero, perché egli ebbe effettivamente caro il Trentino o, per esattezza storica, il Tirolo italiano di allora, che lui conobbe fin dalla sua prima giovinezza per una esperienza di lavoro e di studio. 
Ultimo arrivato dopo tre sorelle, il 22 novembre 1770 a tre anni, Andreas aveva perso la mamma Anna. Un paio d'anni dopo il padre Josef, oste e commerciante di vini e di bestiame, si era risposato e la famiglia si era arricchita d'una quarta sorella. Poi ad Andreas, quando aveva 7 anni capitò il secondo dramma: la morte del papà. In quello stesso anno la sorella più anziana si sposò e con il marito assunse la gestione dell'osteria, mentre la matrigna si tenne l'azienda. 
Per l'infanzia di Andreas Hofer, con la perdita dei genitori, se n'era andata molta serenità; ed anche gli anni della fanciullezza restarono segnati da momenti tristi per le frequenti, rabbiose discussioni tra cognato e matrigna. 
Non fu pertanto difficile ad Andreas staccarsi dalla famiglia secondo il costume tra gli adolescenti di allora che erano stimolati a cercare una occupazione fuori valle. Scelse dapprima come luogo di soggiorno e di lavoro Cles in Val di Non presso la famiglia Miller e poi Ballino in Val Giudicarie. Probabilmente i nomi di questi luoghi erano restati impressi nella memoria del ragazzo in seguito ai viaggi di commercio del genitore. Fu comunque una scelta intelligente e coraggiosa, sostenuta da una forte volontà di riuscita. Di fatto, sia a Cles che a Ballino, si guadagnò la stima e l'affetto delle famiglie ospitanti. Allora il Tirolo meridionale, con la Lombardia, apparteneva all'Austria e il giovanissimo Andreas, che intendeva continuare l'attività del padre con il commercio in vini e cavalli, si rendeva conto che bisognava conoscere la lingua italiana per sfruttare vantaggiosamente il mercato del Sud. 
Il paese di Ballino in una foto d'epoca 
Andreas, da ragazzo vivace e volonteroso qual era, si fece presto apprezzare come garzone e imparò discretamente bene l'italiano o meglio il dialetto italiano parlato nelle due valli trentine. A Ballino, secondo quanto fu tramandato dai gestori dell'Osteria Armani, Andreas rimase circa tre anni e la stanzetta ch'egli occupava vicino alla "stua" dei padroni, restò per i posteri, quando il suo nome entrò nella leggenda. come "la stanza di Hofer". 
Gestiva allora l'Osteria Armani la famiglia di Giovanni Zanini di Fiavè. Nella azienda, con il padre, lavorava anche il primogenito, Marco Zanini, che all'arrivo di Andreas Hofer, aveva famiglia con due figli di 7 e 10 anni. Andreas trovò nei figli di Marco due piccoli amici; ed il padre lo trattò con simpatia e stima e vent'anni dopo, quando Andreas Hofer nella lotta contro i franco-bavaresi si presenterà alle popolazioni tirolesi come il Comandante Supremo dei difensori della patria, Marco Zanini gli porterà una compagnia di bersaglieri della comunità di Fiavè e diverrà un suo entusiasta ammiratore e sostenitore. 
Sorprende la prolungata permanenza del giovane Andreas a Ballino. Una ragione va certamente trovata nel continuo, assiduo e proficuo passaggio di commercianti da Passo Ballin, che con i loro animali da soma, per e da Riva del Garda, facevano volentieri una sosta d'obbligo davanti all'osteria. C'era lì vicino anche una fresca fontanella che nei mesi estivi invitava ogni passante a fermarsi ed a bere. Per il garzone Andreas c'era dunque sempre qualche cosa da fare: non mancavano le occasioni per scambiare quattro chiacchiere e forse non mancava nemmeno una piccola mancia per i suoi preziosi servigi. 
C'è un'altra ragione che non va dimenticata. A Ballino s'erano insediate come pastori, verso la fine del 1700, alcune famiglie originarie della Valle del Fersina, quelle di Domenico Pacher e di Domenico Trentner di Roveda, di Antonio Andermark da Fierozzo e di Giovanni Fruner da Vignola. Il paesello era restato quasi spopolato dalla terribile peste del 1630 — quella descritta dal Manzoni — e fu pertanto facile trovare case e pascoli da parte di queste laboriose famiglie tedesche. Giovanni Fruner ebbe, a Ballino, sei figli e cinque figlie e raggiunse una posizione economica di prestigio. Ben quattro sacerdoti uscirono dalla sua famiglia. 
Certamente questi pastori costituirono per un paio di generazioni un isolotto linguistico tedesco, almeno nelle conversazioni fatte in casa, e non è azzardato pensare che il giovane Andreas scambiasse volentieri con loro un discorso nella lingua materna, rendendosi così il soggiorno di Ballino meno straniero. 
Finita questa esperienza di lavoro nel Tirolo italiano, Andreas Hofer tornò al suo paese, a San Bernardo di Passiria. A 22 anni, nel 1789, maggiorenne, prese in mano la direzione delle proprietà paterne e si creò una sua famiglia sposando Anna Ladurner di Lagundo. Fu assai attivo negli affari e percorse più volte il Tirolo meridionale e la bassa Lombardia per l'acquisto di vino e di cavalli, che poi vendeva nel Tirolo tedesco. Gestiva lui stesso un servizio di trasporto merci attraverso il Passo di Giovo, fatto a mezzo di cavalli da soma. Arrivò ad averne sedici, ma non ebbe fortuna sotto l'aspetto economico. In famiglia si lavorava sodo, si era però abbastanza disinvolti nel consumo. Probabilmente influirono negativamente anche i suoi frequenti impegni come rappresentante della categoria contadina in pubblici congressi, in Val Passiria, a Merano e ad Innsbruck. 
In quei tempi l'osteria era luogo d'incontro obbligato non solo per chi per ragioni di ristoro e di pernottamento nei lunghi viaggi a piedi si spostava da valle a valle, ma anche per la gente indigena, che trovava al banco della mescita occasione d'informazioni e di discussioni. Andreas Hofer si fermò spesso nei suoi viaggi presso osterie trentine dove acquistò relazioni e amicizie che gli saranno di grande giovamento più tardi nella sua carriera di comandante. La conoscenza della parlata trentina gli procurò dappertutto simpatia e prestigio. 
Non poteva passare inosservato quel commerciante dalla nera e folta barba. La gente trentina, così facile nel cogliere una qualità fisica e morale d'una persona amica e nel coniare un soprannome, cominciò a chiamarlo "il Barbon", senza presagire che con quel soprannome sarebbe passato alla storia. Si era lasciato crescere la barba in seguito ad una scommessa fatta con un amico. Stava pranzando con lui nella sua osteria quando entrò un mendicante sporco e barbuto a chiedere l'elemosina. "Ti piacerebbe avere una barba simile?" fu la domanda. "E perché no?" — "La tua Anna ti rifiuterebbe", fu il commento. Hofer, sorridendo ma sicuro del fatto suo, propose la scommessa di due buoi: se entro dodici mesi lui non portava la barba, avrebbe perso la scommessa. Ma vinse, e la lunga e folta barba rimase una nota caratteristica della sua persona, anzi, della sua personalità. Per i Tirolesi italiani lui sarà semplicemente il Comandante "Barbon", per antonomasia; e tale resterà durante tutto il periodo in cui comandò l'insurrezione. Perfino nella sentenza di morte pronunciata a Mantova il 19 febbraio 1810, per ben sei volte sarà fatto il nome di "Andreas Hofer detto Barbon". C'è ancora al riguardo un piccolo curioso particolare. La gente di Coredo chiamerà "Barboni" i membri della famiglia Pastorelli che aveva ospitato per una notte Andreas Hofer di ritorno dal suo pellegrinaggio al Santuario di S. Romedio. 
Non furono soltanto i viaggi di commercio a rendere popolare la figura di Andreas Hofer nel Tirolo meridionale, ma fu soprattutto la lotta sostenuta contro le invasioni francesi. Hofer vi partecipò fin dall'inizio. Un uomo come lui non poteva restare indifferente e assente nel momento in cui la patria tirolese veniva aggredita. Quando l'esercito francese, con il giovane generale Napoleone Bonaparte, aveva invaso l'Alta Italia, erano venuti a mancare nel Trentino le possibilità di acquisto di granaglie nella pianura lombarda, così necessarie alle popolazioni delle valli. Vi provvide nel mese di luglio del 1796 una vasta organizzazione governativa, con la quale collaborò immediatamente Andreas Hofer con i suoi cavalli da soma, prelevando ad Innsbruck vettovaglie per il Sud. E quando nell'agosto dello stesso anno l'allarme fu generale per il timore d'una imminente invasione francese nel Tirolo, con i bersaglieri meranesi a presidio del Passo del Tonale comparve il caporale Andreas Hofer, che più tardi prese parte ai primi scontri con i reparti francesi sulle alture di Molveno e di Terlago. 
Nella seconda invasione, quella diretta dal Generale francese Joubert, nei primi mesi del 1797, Andreas Hofer ritorna con il grado di capitano alla testa d'una compagnia di valligiani e sotto il comando del Generale Loudon partecipa alla presa di Bolzano. Arriverà di nuovo a Trento nel 1805 in occasione della quarta invasione francese, quella diretta dal Generale Ney. 
Fu però l'anno 1809 che rese Andreas Hofer conosciutissimo nel Tirolo italiano e ne fece in breve tempo il capo indiscusso del moto insurrezionale contro i franco-bavaresi. Agli ordini del generale austriaco Chasteler, Andreas Hofer marciò con le compagnie di Val Passiria e di Merano verso la Val d'Adige per liberare Trento. Operando a fianco dell'esercito imperiale raggiunse Terlago e Cadine, e forzando l'accesso al Buco di Vela obbligò i reparti francesi in continui scontri a ritirarsi a Trento, che verrà liberata dagli insorti il 23 aprile. 
La cittadinanza accolse Andreas Hofer come un trionfatore ed ebbe modo di apprezzare il comportamento disciplinato dei suoi uomini. Il giorno dopo, sulle colline di Volano, Andreas Hofer impedì l'accerchiamento delle truppe imperiali, ed anche nei giorni seguenti, operando da Brentonico verso la Val Lagarina, salvò gli imperiali da una clamorosa sconfitta. I1 suo contributo fu apprezzato dall'alto comando militare austriaco, ma convinse soprattutto i patrioti tirolesi di avere in lui un condottiero capace e valoroso. La guardia civica di Rovereto gli rese gli onori come ad un generale. 
Quando il 2 maggio il generale francese Rusca entrò nella vallata dell'Adige da Verona ed il 4 raggiunse Trento occupandola, Andreas Hofer accorse nuovamente con i suoi passiriani e la sua presenza fu provvidenziale per la città. Le compagnie presenti dei bersaglieri nonesi e fiemmesi erano arrabbiate contro la cittadinanza, accusata, se non di aver favorito i Francesi, di aver dimostrato poca simpatia per gli imperiali. Minacciavano il saccheggio. Andreas Hofer si oppose energicamente e con i suoi patrioti garantì l'ordine nella città. Poi partì all'inseguimento del Generale Rusca fino a Levico.
Ora Andreas Hofer aveva un'idea abbastanza chiara della vulnerabilità del Tirolo meridionale le cui valli s'aprivano sulla pianura lombardo-veneta. Forse non era in grado né lui né i suoi compagni d'arme di capire che le sorti della nazione tirolese si giocavano altrove, sui campi di battaglia del centro Europa. Comprese però che per un periodo i Tirolesi dovevano contare unicamente sul loro coraggio e sulla solidarietà comune e non più sulla presenza e sull'aiuto delle truppe imperiali. Pertanto la difesa del Tirolo meridionale andava curata in ogni particolare. 
Come supremo comandante delle milizie paesane era entrato già in aprile in relazione con il Conte d'Arsio di Brez ed aveva incaricato i Capitani Girolamo Stefanelli di Fondo e Antonio Malanotti di Caldes di organizzare opportunamente la resistenza nelle vallate di Non e di Sole. 
Andreas Hofer sapeva che il Tirolo meridionale era la terra che più aveva sofferto nelle prime invasioni francesi, soprattutto per le feroci requisizioni in danaro, in animali da carne e da tiro, per le implacabili richieste di fieno e di biada da parte delle truppe occupanti. Le comunità avevano sopportato tutto questo con rabbia rassegnata e nel 1809 avevano provveduto con enormi sacrifici alla formazione delle compagnie e al loro avvicendamento. Ma il vuoto di potere, che si verificò in luglio con il ritirarsi dell'autorità militare e politica austriaca in conseguenza dell'armistizio di Znaim, si ripercosse negativamente nelle valli, abbandonate a se stesse. Andreas Hofer ne fu informato e allora affrontò un viaggio in Val di Non all'inizio di luglio per esaminare personalmente la situazione e provvedere alla sostituzione dei comandanti, dimostratisi inetti e non accetti alle popolazioni, con altri più abili. Indisse un convegno a Revò, dal 5 al 7 luglio, chiamandovi i responsabili delle comunità nonese e solandre. Fu accolto trionfalmente dal popolo di Revò che gli eresse un arco di trionfo ed accese nella notte fuochi sul monte per festeggiare la sua presenza e gli mise a disposizione una guardia del corpo per la sua sicurezza personale. 
Da Revò, Andreas Hofer inviò lettere in Val Giudicarie, nominò commissario per la parte amministrativa il Signor Carlo Vigilio di Pinzolo, notaro, e come comandante responsabile per la difesa delle Valli, fino a Rocca d'Anfo, il Capitano Cantonati, purché le popolazioni del distretto fossero d'accordo. La storia dice che non fu felice nella scelta dei collaboratori e dovette spesso ricredersi e sostituirli. Questo è vero. Doveva spesso decidere sul momento o su indicazioni degli altri, ed era poi molto rispettoso della libera volontà delle popolazioni, perché capiva che solo una resistenza convinta e partecipata avrebbe raggiunto il suo scopo. 
Da Revò si recò a Cles, accolto dal suono delle campane, sparo di mortaretti e salve di fucileria. Fece visita con seicento combattenti al Santuario di S. Romedio, come pellegrino, conscio dei pericoli che doveva affrontare e preoccupato per la gravità della situazione che pesava sulle sue spalle. Continuò il viaggio verso Trento e poi fino a Levico in Valsugana, dove rimase due giorni. Qui lo raggiunse la no-tizia, che lo obbligò al ritorno, che i Francesi stavano forzando il Passo del Tonale. 
Non tornò più nel Tirolo italiano come Comandante Superiore. La riconquista di Innsbruck nell'agosto e gli impegni del governo sia civile che militare lo tennero lontano, fortemente occupato. Intervenne ancora una volta per il Tirolo meridionale con un commovente appello, datato 4 settembre, da Bolzano: "Amatissimi tirolesi italiani. Con dispiacere intendo che voi foste mal trattati dalle mie truppe. Io vi comunico perciò, miei cari e bravi compatrioti e compagni d'armi, una proclamazione affinché i ben intenzionati si sappiano per l'avvenire, e col mostrare la medesima, salvare dai mal intenzionati...". Notificava «a tutte le comuni, città, borghi e ville ed alle mie truppe che essendo accaduti molti disordini per mezzo di molti comandanti da per se stessi introdottisi e non autorizzati, in assenza del sottoscritto, è stato nominato qual comandante autorizzato nel Tirolo meridionale il Sig. Giuseppe de Morandell di Caldaro...". 
Non era stato all'altezza della situazione nel Tirolo meridionale Giacomo Torggler, nominato in luglio dal comando militare austriaco, e non lo sarà nemmeno il Morandell che non si mosse mai da Calda-ro. Alla fine di settembre, quando il Generale francese Pery travolse ad Ala la prima resistenza dei bersaglieri e raggiunse a marce forzate Trento e Lavis, operando con inaudita ferocia perfino contro i prigionieri, Andreas Hofer dovette sostituire il Morandell con il suo aiutante di campo, Josef Eisenstecken. Nell'estremo, energico tentativo di riorganizzare la difesa sulle colline di Trento e liberare ancora una volta la città, pur avendo a disposizione una massa ingente di patrioti, quasi 20.000, Eisenstecken ebbe amaramente a dire alla vigilia della sconfitta definitiva: "Mi rincresce di non essere arrivato prima. Capisco che furono messi nei posti di comando degli uomini incapaci".
E fu davvero la fine! Non certo del tutto inaspettata, in parte anche desiderata, perché le comunità erano sfinite e non ne potevano più dopo una lotta che era iniziata quindici anni prima e che aveva concesso solo difficili periodi di pace. Da mesi, dal governo imperiale non arrivava nessun aiuto, né in truppe, né in armi, né in denaro. Le casse delle comunità erano vuote, anzi aggravate da pesanti prestiti da parte di privati cittadini. Un'ulteriore resistenza era impossibile ed inutile. Napoleone aveva fatto convergere sul Tirolo 56.000 veterani, da Verona, dalla Carinzia, dalla Baviera, per schiacciare definitivamente l'insurrezione. E nel novembre i reparti franco-bavaresi, occupate le principali città del Tirolo, risalivano le valli come una marea minacciosa alla ricerca degli ultimi insorti. Andreas Hofer, abbandonata la lotta e rifugiatosi sui suoi monti, alla fine del gennaio 1810 venne fatto prigioniero. 
Le popolazioni dell'Adige e della Valle Lagarina rividero ancora una volta Andreas Hofer, non più come comandante supremo: lo rividero in catene, prigioniero dei francesi che lo conducevano nelle carceri di Mantova. A Trento, una folla non più in festa, silenziosa e attonita, gli espresse con la presenza sulle strade un'intima, dolorosa partecipazione al dramma. Nel suo destino si rispecchiava quello di tutto il popolo tirolese, messo in ceppi dalla strapotenza dell'invasore. 
Il generale "barbon" nel ritratto di Domenico Zeni
In quella circostanza, a Trento, lo vide il pittore Domenico Zeni (1762-1819) che, da valente ritrattista qual era, ne fissò con tocchi essenziali e ben riusciti il volto stanco e rassegnato in un quadro, ora conservato al Ferdinandeum di Innsbruck: è l'ultimo ritratto di Hofer e, forse, il più fedele. 
Certamente anche la morte per fucilazione contribuì a fare di Andreas Hofer un eroe ammirato e amato. Quando taluno nelle sale della Hofburg di Innsbruck gli aveva dato dell'Eccellenza, egli aveva risposto più d'una volta: "Io sono Andreas Hofer, contadino!". Ed il popolo lo seguì perché lo riconobbe fin dall'inizio uno dei suoi, un combattente onesto, umile e coraggioso, che non fuggirà nell'ora della sconfitta, resterà con la sua gente, sui suoi monti. 
I Tirolesi italiani, nella stragrande maggioranza, lo ammirarono come un figlio della propria terra, perché lo videro intrepido difensore della stessa patria, martire d'una causa avvertita in ogni valle come giusta, quasi santa. Non gli eressero un monumento di bronzo perché questo fu realizzato a miglior diritto altrove, ma non lo dimenticarono, perché un popolo porta a lungo nel cuore i suoi eroi, specie se sfortunati. Allora anche un sasso, sul quale in una determinata giornata storica Andreas Hofer si riposò stanco, diventò un prezioso cimelio nella tradizione delle generazioni. E' quanto avvenne a Cles, in Val di Non. Ed è assai significativo che molti decenni dopo gli emigrati trentini d'oltre oceano, nella scelta d'un nome che ricordasse degnamente la patria lontana, abbiano scelto più volte quello di Andreas Hofer. 
Il suo sacrificio e quello del popolo tirolese non hanno impedito a Napoleone di attuare il suo programma di conquista in Europa e di tenerla sotto il tallone; ma ne ridussero la durata. La resistenza tirolese ebbe un effetto straordinario sui popoli e la figura di Andreas Hofer entrò nella leggenda come quella dell'intrepido capo e martire d'una guerra di liberazione. "Il titolo di liberatore supera qualsiasi cosa l'orgoglio umano abbia mai concepito", dirà Simon Bolivar (1783-1830) qualche anno dopo la fine di Andreas Hofer. Bolivar strapperà con una lotta durissima, di quindici anni, dalle catene spagnole, dando loro l'indipendenza, grandi regioni come il Venezuela, la Colombia, il Perù e la Bolivia. 
Andreas Hofer fu e resta un liberatore. Con lui insorse per la prima volta nella storia un popolo, non un esercito. Ed è da augurarsi che il suo ricordo permanga nella memoria delle generazioni come un mo-nito, perché i popoli vivono e prosperano solo se sono liberi. E quanto oggi solennemente afferma la Carta delle Nazioni. 

 Letteratura: 
— J. HIRN, Tirols Erhebung im Jahre 1809, Innsbruck, 1909; 
— G. RICCADONNA, Il Sommolago, n. 1-1985, pag. 95; 
— L. DALPONTE, Uomini e Genti Trentine durante le invasioni napoleoniche, 1796-1810, Trento, 1984. 

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