lunedì 25 febbraio 2013

Il Werther e l'Ortis

Un breve capitolo di letteratura comparata 
Annuario del collegio arcivescovile di Trento, 1985/1986, n. 52, pp. 25-29

Nelle manifestazioni celebrative del bicentenario dell'Italienische Reise di J.W. Goethe, la stampa ha ricordato più volte al lettore italiano le ragioni e il significato di questo viaggio che fu per Goethe, dal settembre 1786 all'aprile del 1788, un vero pellegrinaggio artistico attraverso l'Italia e costituì per lui «una seconda nascita», come ebbe ripetutamente ad affermare. L'opera, pubblicata nel 1816, influì profondamente sugli scrittori tedeschi del periodo romantico, tanto che è lecito dire che la letteratura tedesca sarebbe diversa se Goethe non fosse venuto in Italia. 
Ugo Foscolo
In occasioni come questa del bicentenario si è soliti dare particolare rilievo alle relazioni tra Goethe e Manzoni che, certamente, formano uno degli episodi più importanti della cultura europea del primo Ottocento. Il vecchio Goethe (1749 - 1834) leggendo le tragedie e gli Inni Sacri del Manzoni (1785 - 1873) capì, per primo, la sua grandezza, lo considerò un genio di statura mondiale. Al riguardo, nei colloqui con il segretario Ackermann, si espresse dicendo che «il Manzoni ha un solo difetto, di non sapere egli stesso che grande poeta egli sia e quali diritti, come tale, gli spettano. Egli ha troppo rispetto della verità storica... Che ci starebbero a fare i poeti se dovessero ripetere soltanto la verità storica? Il poeta deve andare oltre: darci possibilmente qualche cosa di più alto e di migliore». 
Le osservazioni del Goethe, come è noto, generarono nello spirito del Manzoni dubbi e inquietudini e lo stimolarono a riflettere a lungo e ad attenuare l'attaccamento scrupoloso alla verità storica, ed ammettere che «l'inventato» non contrasta con la concezione dell'arte come rappresentazione del vero quando è studiato e voluto nella realtà. Ma ricordando Goethe, non è meno importante per il lettore italiano conoscere le relazioni del Leopardi e del Foscolo con l'opera giovanile di Goethe, I dolori del Giovane Werther, il cui messaggio trovò un'eco in vari canti leopardiani, in Consalvo, Risorgimento, Infinito, Ricordanze, e, particolarmente, nel romanzo di Ugo Foscolo, Le ultime lettere di Jacopo Ortis
J. Wolfgang Von Goethe
La somiglianza con il Werther, pubblicato nel 1774, sembrò a molti letterati così evidente che taluni, come Stendhal, tacciarono impietosamente il Foscolo di plagio. E di fatto la trama si assomiglia molto, nel Werther è assai semplice, pare un monologo, è limitata al dramma sentimentale del giovane per Charlotte (Lotte), che non resta indifferente di fronte alle sue dichiarazioni affettive, ma che non vuol tradire il fidanzato Alberto, al quale si unisca in matrimonio. Werther, accettando la realtà dei fatti, passa alcuni mesi in amicizia con i due sposi, ma comprendendo che il suo amore è senza sbocchi, finge di partire per un lungo viaggio e si uccide con la pistola presa a prestito dalla famiglia amica. Pure nell'Ortis, la delusione amorosa, esasperata dal crollo dell'ideale patriottico, si conclude con la tragica risoluzione del suicidio. 
Goethe aveva 25 anni quando scrisse il Werther. Lo compose di getto, in quattro mesi, e il libro conquistò di colpo la Germania, poi l'Europa e in breve, si può dire, il mondo intero. Ebbe tale risonanza che la gioventù «snob» europea andò per decenni vestita «alla Werther», con marsina azzurra, panciotto giallo, calzoni bianchi e stivali con risvolto. Perfino i cinesi dipinsero Lotte sui loro paralumi. Napoleone dirà a Goethe di aver letto sette volte il Werther e di averlo voluto con sé, tra i pochi libri, durante la campagna in Egitto. Le traduzioni si susseguirono rapidamente: quindici in francese, entro la fine del Settecento, dodici in inglese, quattro in italiano e una o due in tutte le principali lingue del mondo. Il libro è di una unità poetica eccezionale: è la vita intima di Werther descritta in forma perfetta, con estrema naturalezza in uno sviluppo organico e progressivo. Il cuore del giovane artista innamorato e deluso è analizzato profondamente con arte mirabile e inesauribile di tonalità e variazioni, come mai era avvenuto prima. Ed il tutto è arricchito da stupende descrizioni della natura, che fa da sfondo e da eco agli stati d'animo del protagonista: primaverile dapprima e piena di promesse e di speranze, autunnale alla fine, sconvolta da un minaccioso temporale che fa presagire la tragica conclusione. 
Se Goethe non avesse scritto altro, sarebbe entrato anche solo con quest'opera nella storia dei grandi scrittori, per quel nuovo fine ed innegabile linguaggio poetico che vi trasfuse. 
Il Werther e l'Ortis furono accolti dalla critica letteraria e dall'opinione pubblica con giudizi contrastanti, di vivace apprezzamento per l'opera in sé e di netto rifiuto per la tragica morte dei protagonisti, ma unanime fu il riconoscimento della grande novità dei due libri, sentiti come i primi «romanzi moderni» delle letterature europee. Anche in Italia l'effetto dell'Ortis fu enorme. Stampato nel bel mezzo di una letteratura impostata idillicamente e arcadicamente, piena di allegri fronzoli alla rococò, ebbe l'effetto dello scoppio di una bomba o dell'eruzione di un vulcano. Divenne, con il Werther, «les livres de chevet», il libro del comodino, oggetto di una lettura attenta, condivisa ed esaltante, tanto che i protagonisti trovarono numerosi imitatori della loro triste fine, soprattutto tra i giovani. Goethe restò sconvolto dal ripetersi di suicidi con accanto il fatale libretto, tanto che, preoccupato, metterà come sottotitolo nell'edizione del 1787 queste parole: «Sei ein Mann und folge mir nicht nach», «Sii un uomo e non imitarmi» e il Foscolo dichiarerà per la stessa ragione che sarebbe stato meglio non aver scritto l'Ortis
La somiglianza delle due opere era così forte che il frequente rimarco che l'Ortis fosse un plagio o una imitazione più o meno felice inquietò molto il Foscolo ed egli si sentì in dovere di difendere pubblicamente l'originalità della sua opera. Scrisse due volte una relazione particolareggiata sull'origine del romanzo. In una lunga lettera all'erudito diplomatico prussiano Jacob Salomon Bartholdy volle spiegare diffusamente il titolo e la genesi dell'Ortis: «Ho raccontato ciò che ho sofferto, e forse anche l'autore tedesco è più attore che inventore nel suo libro che egli, come io il mio, scrisse col sangue del cuore». E conchiudeva affermando: «L'arte non consiste nel presentare cose nuove, ma anzi nel presentarle in modo nuovo: chi mi contraddicesse in questo io lo rimetterei alle tragedie che hanno la medesimo trama, la medesima favola, la stessa catastrofe, le stesse persone e ciononostante non sono considerate plagi». 
Ancor più si dilungò a spiegare l'originalità dell'Ortis nelle note aggiunte alla XV edizione del romanzo, dichiarando che il contenuto è unicamente invenzione sua e che del Werther ha mutato il colore e l'ordinamento delle lettere, facendole pervenire non più a varie persone ma ad una sola, all'amico Lorenzo Alderani. Ottenne effettivamente che per lungo tempo si credesse che solo nella seconda stesura del romanzo egli avesse imitato, quanto alla forma esteriore, quella del Werther. Poi studiosi italiani e tedeschi, sulla base di nuovi e sicuri documenti, non accettarono più la dichiarazione del Foscolo che la somiglianza fosse puramente fortuita. Il Professore Franz Zschech, che nel 1871 tradusse l'Ortis in tedesco, richiamandosi a minuti particolari dell'Epistolario, del piano di studi del Foscolo e della Vera Storia, dichiarò, senza tema di smentite, che il poeta italiano, prima di scrivere l'Ortis, conobbe il Werther nelle traduzioni francesi. Forse la più autorevole confessione d'una dipendenza dal Werther è data dal Foscolo medesimo in una lettera assai interessante inviata a Goethe nel 1802 e conservata nel Goethe-Schiller-Archiv di Weimar. 

'Al signor Goethe, 
Illustre scrittore tedesco. 
Riceverete dal signor Grassi il primo volumetto d'una mia operetta a cui forse diè origine il vostro Werther. Duolmi che voi non vediate se non i primi atti, per così dire della tragedia; gli ultimi sono i più veri e più caldi. Ho dipinto me stesso, le mie passioni, e i miei tempi sotto il nome di un mio amico ammazzatosi a Padova. Non ho niun merito nell'invenzione, avendo tratto tutto dal vero; i miei concittadini pregiano il mio stile di un'opera dove per mancanza di modelli ho dovuto farmi una lingua mia propria; per me, non sono contento di me stesso in questo lavoro, se non perché ho sdegnato il titolo di autore, né mi sono vergognato di mostrare quello d'uomo. - La contessa Antonietta Aresi, mia eterna, unica amica tradusse dall'ultima edizione il Werther nello stile dell'Ortis e sarà questa la sola versione italiana che l'ignoranza de' traduttori, o la prepotenza de' Governi non abbiano mutilata. Se vi cale di vedere il manoscritto scrivetemi; ve lo invierò col mio secondo volumetto, tostoché sarà pubblicato. Vi auguro ciò che invano spesso auguro a me stesso; due cose insociabili; gloria e tranquillità.          Ugo Foscolo

Il Goethe fa cenno di questa lettera in uno scritto del 19 aprile 1806: « ...Alcuni anni or sono ricevetti le Lettere dell'Ortis dall'autore stesso con una lettera "vivacissima" (mit einem sehr lebhaften Brief) che si dovrebbe trovare tra le mie carte; forse quella spiegherebbe perché la mia copia che arrivò in «brochure» abbia soltanto 128 pagine. Il romanzo non è finito (C'era solo la prima parte, n.d.r.), lo si vede. Già allora ero propenso a tradurre alcune lettere e ora ho cercato l'inizio perchè il Signor Cotta desidera qualche cosa per il Calendario delle Signore. Per la redazione di questo piccolo articolo ho bisogno del libro... » . Se ne deduce che Goethe aveva prestato seria attenzione all'opera del Foscolo. Anche nel diario, che egli teneva quotidianamente, in data 26 novembre 1807, accenna nell'annotazione «alle Piccole Composizioni di Ludens, trattatelli storici su Venezia: Werther e Ortis». Il Prof. Heinrich Luden (1780- 1847) traducendo per primo, l'anno dopo, le Ultime Lettere in tedesco, scrisse: «Queste lettere di Jacobo Ortis mi sembrarono degne per molte ragioni di una traduzione, a preferenza di molti altri libri esteri: in primo luogo per i rapporti con il Werther. Il libro appartiene senza discussione ai più vigorosi polloni germogliati da questa radice, e mi pare che possa interessare il lettore tedesco di vedere la pianta che in terra italiana e sotto cielo italiano s'è sviluppata dal seme tedesco; poi per le allusioni storiche che Ortis contiene; altre ragioni saltano da sé all'occhio del lettore». 
Goethe era anche un assiduo raccoglitore di autografi. Su una lettera del Foscolo inviata a Francis Horner, giornalista ed economista inglese, e venuta in possesso di Goethe, questi vi aggiunge di sua mano la noterella: Foscolo di Zante, autore delle Ultime Lettere di Jacobo Ortis. Come pure postilla una lettera del grande storico di quel tempo, Johann von Müller, da lui inserita nel volume inviatogli dal Foscolo, con queste parole: «NB. Deve esistere una edizione del 1802, e il libro deve avere 246 pagine». 
Il volumetto inviato a Goethe è l'unico esemplare della edizione stampata a Milano nel 1801, anonima e incompleta ma dichiarata autentica dal Foscolo, a differenza di quella pubblicata a Bologna nel 1799 sotto il titolo Vera Storia di due amanti infelici o le Ultime Lettere di Jacobo Ortis, da lui rabbiosamente respinta come apocrifa. Senza entrare in un esame della Vera Storia, dove, per un paio di volte, si ricorda il Werther di Goethe, vi sono delle pagine, nell'edizione definitiva, che ricordano quasi alla lettera quelle del Werther, per cui si può concludere che il Foscolo non ha mutato soltanto la forma e la disposizione delle lettere, ma anche lineamenti essenziali alla favola del romanzo, molti particolari, dialoghi e atteggiamenti dei personaggi principali. 
Nel desiderio di far apparire la sua opera originale, il Foscolo inserì nella stesura definitiva del romanzo l'elemento storico-politico che rappresenta, realmente, un'originalità. Con questo elemento l'Ortis divenne un libro di importanza nazionale, un testo di vibrante amor patrio. L'opera incitò gli Italiani a sentirsi una nazione e presentò ai loro occhi una nuova suggestiva figura, quella dell'esule. Le speranze poste in Napoleone come liberatore dei popoli, e deluse dal trattato di Campoformio diventano, per il Foscolo, motivo per una delle pagine più originali e coraggiose contro Napoleone che siano mai state scritte: «...La Natura lo ha creato tiranno, e il tiranno non si cura della patria, perché non n'ha alcuna». 
Bisogna, alla fine, dargli ragione se ha difeso l'originalità dell'opera contro il giudizio riduttivo e troppo disinvolto di plagio. Nel romanzo vi sono tali elementi biografici e brani di lettere che si ritrovano nella sua personale corrispondenza, da giustificare benissimo la sua affermazione che «l'arte non consiste nella rappresentazione di cose nuove ma nel rappresentarle in modo diverso». Si può conchiudere, quindi, alla fine di questa breve comparazione tra i due romanzi, che, probabilmente, senza il Werther il Foscolo non avrebbe scritto l'Ortis, ma che il libro, con tutte le riserve che è doveroso esprimere sotto il profilo morale, resta pur sempre un capolavoro dal punto di vista letterario, dove è quasi impossibile sgrovigliare vita vissuta e fantasia e dove si possono scoprire i tratti e i motivi della poesia dei Sepolcri e dei Sonetti
Aveva diciannove anni Ugo Foscolo quando concepì e stese la prima parte del suo romanzo. Fino a quindici anni parlava greco. Allora, più che considerare semplicemente il Foscolo come poeta, meriterebbe studiarlo come «fenomeno», per comprendere meglio la novità della sua arte. 



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