martedì 12 febbraio 2013

7. L'umanità della lettera pastorale


Non ci sembra superfluo sottolineare che il pensiero del Vescovo di Trento fu condiviso, qualche decennio più tardi, niente meno che da Carlo Marx, che definì gli ideali della Rivoluzione: «Fumo negli occhi per le classi popolari e trionfo della borghesia, che lacerò senza pietà i variopinti legami che nella società feudale avvicinavano l'uomo ai superiori naturali e non lasciò tra l'uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, lo spietato pagamento in contante». 
Dopo due secoli la storiografia ha raccolto e sottoposto ad un'analisi critica molto seria un avvenimento così complesso e convulso come fu la Rivoluzione francese. Ora non si accetta più un'immagine nettamente positiva delle fatidiche giornate del 1789, che avrebbero seppellito la vecchia Europa e iniziato l'alba della modernità e del progresso, come troppo spesso si è scritto e ripetuto per il passato con ingenue semplificazioni, carenti di studio obiettivo e di riflessione. La realtà fu assai diversa e i documenti sono più che sufficienti per dimostrare quanto fossero false le conclamate esaltanti parole di «libertà ed uguaglianza» di cui si fregiavano i vessilli militari francesi. Infatti, ciò che subito si impose nei paesi «liberati» dall'esercito invasore fu il ruolo predatorio della rivoluzione: esose contribuzioni in denaro, requisizioni di beni essenziali di vita, come razioni di pane, carne e vino, a migliaia, settimanalmente, furti di ogni genere, dai tesori artistici al bestiame. 
Nelle zone occupate il comando francese si dava premura di istituire municipalità di stampo rivoluzionario, sopprimendo statuti secolari veramente esemplari e ancor oggi degni di meraviglia. In ogni comune innalzava «l'albero della libertà», che appariva una beffa, in netta contraddizione con i saccheggi e i soprusi di cui erano vittime le popolazioni. 
Nei manoscritti dell'opera del Conte Manci e del Pietrapiana si legge che «una truppa composta di ladri come quella francese non ci fu mai al mondo»». Le comunità ne erano esasperate. Fu questo l'errore tattico più grave dei conquistatori, quello che offese più profondamente la fierezza delle pacifiche popolazioni montanare trentine, tirolesi e ladine. Lo riconobbe anche Napoleone. 
Come poté il Vescovo di Trento definire i postulati rivoluzionari «nuvole senza acqua, alberi senza frutto»? Qual era il vero significato di queste espressioni? Cerchiamo di conoscerlo, con valenza storica, tenendo ben presente la situazione politico-sociale di duecento anni fa, quella creatasi in Francia con la Rivoluzione, e che il Vescovo certamente conosceva. 
La «libertà» era stata invocata, innanzitutto, dalla minoranza rivoluzionaria come protezione contro il dispotismo della monarchia e della nobiltà, con la richiesta di abolizione di dazi, pedaggi, decime e primizie e prestazioni gratuite di servizi e di lavori manuali che erano residuo dell'epoca feudale. Le intenzioni erano buone e, di fatto, la Rivoluzione abolì molti atavici gravami, liberalizzò le terre, promosse il commercio, le industrie, le professioni, il diritto di accesso agli uffici pubblici non più in base alla nascita ma in seguito ad esami e a meriti personali. Solo che di tutto questo trasse vantaggio unicamente la classe borghese, perché la libertà senza giustizia rimane un diritto formale, un'illusione. Tra il debole e il forte la libertà favorisce, quasi sempre, il più forte. Così avvenne, di fatto: a Parigi, dieci anni dopo l'inizio della Rivoluzione, nel 1798, le plebi cittadine si trovarono in condizioni di povertà peggiori di prima. 
«L'uguaglianza» venne proclamata non tanto in relazione alle classi sociali, quanto di fronte allo Stato e alla Legge. Fu l'argomento che raccolse prontamente il più forte consenso nazionale ed internazionale ed è il grande principio sul quale si basa Io Stato di diritto, nel quale, ufficialmente, domina la Legge, uguale per tutti. Ma in realtà su chi domina la Legge? Se le leggi sono a favore di una categoria sociale, della borghesia, la Legge domina sui meno abbienti, sui poveri, perché i ricchi se ne liberano con facilità. Prova ne sia che nelle prigioni «i ricchi» sono pochissimi e vi restano per brevissimo tempo. L'uguaglianza resta, dunque, un'astrazione. Anche la proprietà fu conclamata come uno dei diritti fondamentali del cittadino, un diritto naturale e imprescindibile, sacro e inviolabile. Ma se la maggior parte dei cittadini non ha proprietà, questo diritto, astratto e assoluto, favorisce, in concreto, solo chi ha, solo colui che può disporre a piacimento dei suoi beni. Se le leve del potere economico, i beni fondiari, l'industria e il commercio sono nelle mani di un'unica categoria, quella borghese, che forza hanno i bisogni e i diritti dei nullatenenti? 
Nelle difficoltà economiche in cui si trovò il governo rivoluzionario di Parigi, un boccone ghiotto fu offerto dal patrimonio della Chiesa cattolica. Fu facile definirlo «bene del popolo», requisirlo e metterlo in vendita, con il consenso anche di una parte del clero e di alcuni membri della gerarchia ecclesiastica, che preferirono diventare funzionari dello Stato, abbandonando all'Ente pubblico le spese di culto, di assistenza e di insegnamento. I beni della Chiesa, messi all'asta, non andarono in mano ai meno abbienti, ai popolani, ingrossarono, invece, il patrimonio di chi già molto aveva. 
Per fare un esempio, a noi vicino, che va moltiplicato per mille e mille, ricordiamo che, con una legge napoleonica dell'aprile 1810, il Convento dei Padri Francescani di Campo Lomaso fu soppresso e gli immobili passarono al demanio statale. Inutilmente, il sindaco, avv. Giovanni Battista Mattei, chiese al Vice-prefetto di Riva, rappresentante dell'autorità francese, di poter disporre del Convento per sistemarci la sede comunale e la scuola popolare sia maschile che femminile. Il prefetto mise il Convento all'asta e lo assegnò alla famiglia più danarosa del paese, non badando ai bisogni di una comunità squattrinata. 
Queste considerazioni ci sembrano sufficienti per provare che il Vescovo di Trento non si era servito di espressioni retoriche nella sua denuncia, ma si basava su un serio esame degli avvenimenti. (Continua)

Nessun commento:

Posta un commento