Amministratore delle Terme di Comano

Monsignor Dalponte a partire dal 1974 diventò vicepresidente della Federazione provinciale delle scuole materne e mantenne questo ruolo fino al 1986. Come testimonia il presidente della federazione di quel periodo Lino Vettori don Renzo assecondò convintamente i piani di lavoro e di insegnamento via via programmati manifestando consenso e stima verso i dirigenti della Federazione. Si prodigò in particolare dopo l'entrata in vigore, nel 1977, della legge che stabiliva le modalità di accesso ai benefici della "equiparazione" per le scuole materne autonome che intendevano valersene. La sua attività si dispiegò contro il referendum promosso nel 1980 dai radicali e dalla sinistra per negare legittimità ai finanziamenti per la scuola equiparata. Contribuì inoltre in modo determinante nella istituzione di una cooperativa intitolata al beato Stefano Bellesini, in cui rivestì il ruolo di presidente, per dotare la Federazione di una sede idonea. Come testimonia ancora Vettori "fu un collaboratore eccellente, generoso, severo nel rispetto dei distinti ruoli, solidale nel condividere finalità e impegni, sempre recando grande competenza e tatto, acquisiti da una vita dedicata alla scuola, alla pastorale educativa,al servizio di multiformi attività di base in area ecclesiastica e sociale".
Parallelamente a questa attività monsignor Dalponte fu nominato nel consiglio di amministrazione delle Terme di Comano quale rappresentante del comune di Lomaso. Rivestì questo ruolo per tre mandati dal 1980 al 1995. Un compito che, come testimonia Daniele Calza presidente delle Terme in quel periodo, svolse con grande entusiasmo, convinto che le terme rappresentassero un bene per tutta la comunità valligiana anche dal punto di vista economico. Ma era proprio il lascito ottocentesco dell'area termale del dottor Giovanni Battista Mattei ai poveri delle Giudicarie Esteriori che stava alla base del suo spendersi in questo impegno. Nelle Terme monsignor Dalponte vedeva la possibilità di aprire nuovi scenari di sviluppo alla popolazione locale. Ma per fare questo era necessario diffondere la conoscenza storica del lascito del Mattei. Per questo motivo monsignor Dalponte studiò e approfondì la storia termale pubblicando nel 1988 la monografia dal significativo titolo: "Giovanni Battista Mattei (1754-1826): fece dono delle terme di Comano ai poveri delle Giudicarie Esteriori".
Sul finire del secolo scorso si prodigò nel sostenere il "Progetto Terme 2000" e presiedette alla cerimonia per la posa della prima pietra del Grand Hotel Terme nella primavera del 1999, nonostante la sua visibile malattia. Nell'intervento (vai al link) manifestava ancora una volta il suo attaccamento alla terra d'origine e poeticamente ringraziava il Signore per questa opera: "Signore Iddio! Nella bellezza del Tuo creato, all'ombra di queste balsamiche abetaie, accarezzati dal soffio di un vento dolce e salutare, nel mormorio di vitali acque, fa’ che il nostro sguardo si elevi più vicino a Te, lassù, oltre le belle cime dei nostri monti".
In una lettera inviata da monsignor Dalponte al consiglio d'amministrazione termale si possono ritrovare gli ideali, i valori che don Lorenzo poneva alla base dell'amministrazione termale:
"Le nostre Amministrazioni comunali saranno ancora una volta sollecitate a guardare oltre i propri confini, alla valle intera, agli interessi generali dei suoi abitanti. Vi ricordo a questo proposito un'antica storia che viene dall'India. Una sera sette poveracci s'incontrano per caso in un capanno per passarvi la notte. Sono sette, proprio quanti sono i Comuni della nostra valle. Mentre accendono un fuocherello per difendersi dal freddo, tutti lamentano di avere fame e di avere solo una miseria in tasca. Uno fa la proposta di mettere sul fuoco un paiolo con dell'acqua e di versarvi quello che ognuno tiene in tasca e per primo promette: "Io ho un pezzetto di carne e lo metto a disposizione di tutti". il secondo acconsente ed offre tre pugni di riso, il terzo delle carote e così anche gli altri dicono di essere d'accordo e c'è chi mette un po' di fagioli, chi del grasso, chi un po' di formaggio e di sale. Mettendo ognuno nella pentola quello che possiede, avrebbero preparato una minestra nutriente. Tutti si dicono d'accordo e nella semioscurità della capanna frugano nei loro stracci. Il primo che aveva fatto la proposta, però, pensa che la minestra anche senza il suo pezzetto di carne sarebbe riuscita saporita e fa solo finta di metterlo in pentola. Anche gli altri la pensano come lui e ognuno si tiene quel poco che ha con il risultato che quando la pentola viene levata dal fuoco, contiene solo acqua bollente e nella capanna scoppia un grande litigio.
Amici giudicariesi, avete capito bene la morale della storia. Quei sette poveri erano solo degli egoisti, dei capitalisti mancati, che non furono in grado nemmeno di cuocersi la minestra.
Non dimenticate, invece, il famoso apologo, tramandato nelle nostre famiglie, di quel padre che aveva sette figli, spesso litigiosi e invidiosi tra loro. Una sera li chiamò vicino a sé, presentò loro una fascia di sette verghe che aveva ben legato fra loro e promise dieci talleri a chi l'avesse spezzata. Nessuno vi riuscì. "Eppure -disse il vecchio- è facile". Sciolse il fascio, prese ad una ad una le verghe e le spezzò, dicendo: "Così sarà con voi. Finché lavorerete uniti e l'accordo regnerà fra di voi, nessuno potrà vincervi. Senza unione, sarete rami spezzati e non conterete nulla".


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